A quel tempo, durante la costruzione dell’ashram, prima ancora che fosse scavato un pozzo, c’era una sorgente, dalla quale i devoti erano soliti prelevare l’acqua, aiutandosi con dei secchi e aggrappandosi ad un palo piantato lì vicino.
Proprio su quel palo, ad un certo punto, si poggiò un corvo.
Dopo il primo, il secondo, il terzo giorno, il corvo era ancora lì, immobile, su quel pezzo di legno.
Al terzo giorno Bhagavan, che era appena ritornato dall’abituale passeggiata su Arunachala ed era sdraiato sul divano, nella sala di meditazione, venne informato, da un devoto, della presenza del corvo accanto alla sorgente.
Con un balzo, Bhagavan si mise in piedi e si recò dal corvo.
Gli si avvicinò e con voce dolce gli chiese:
“Cosa hai?”.
Il tenero volatile aprì lentamente gli occhi e lo guardò.
Bhagavan chiese al suo assistente di andare a prendere il suo kamandalu, la brocca d’acqua.
Prese il corvo tra le sue mani e delicatamente versò nel becco alcune gocce di quel sublime nettare.
In quell’istante, tra le mani di Bhagavan, il corvo diede il suo ultimo respiro.
Sri Bhagavan fece erigere una piccola tomba-samadhi per quella creatura da lui benedetta e ne diresse personalmente i lavori di costruzione.
Di fronte a questo episodio, un devoto espresse la sua meraviglia affermando che il corvo doveva essere una grande anima in attesa del tocco di grazia di Bhagavan.
A questa osservazione Ramana rispose:
“Sì! Sembra proprio così”.