In un tempo lontano vi era in India, un antico tempio frequentato da innumerevoli devoti. Tra questi ve ne era uno in particolare, che sembrava sentisse ardere dentro, fortemente, l’amore per Krishna.

Dedicava tutto il suo tempo a spazzare e a prendersi cura dell’area di accesso dei pellegrini, che affluivano in cerca di una grazia da chiedere a Krishna.

Spazzando, pensava al suo Signore, che in piedi, incessantemente, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, offriva il Suo darshan (visione della divinità); gli sembrava terribilmente faticoso.

Questo pensiero era così insistente nella sua mente che, un giorno, prese coraggio, e rivolgendosi direttamente a Lui, con innocenza, disse: “Oh Krishna, mio Signore, chiunque può entrare in questo tempio e “cibarsi” della Tua visione e sempre più numerosi, arrivano, accolti dall’immensità del Tuo amore. Immagino che Tu debba provare un’enorme stanchezza! Perché non ti riposi un pochino mentre io prendo il tuo posto?”.

Un tenero sorriso apparve sul volto di Krishna e, con queste parole, rispose:
“E sia… per un solo giorno, domani, avrai le mie sembianze, sarai tu all’interno del tempio, ma…a queste condizioni: non dovrai coinvolgerti con nessuno, in nessun modo, restare in totale silenzio, rimanere fermo, in piedi, offrire semplicemente un sorriso ad ogni pellegrino senza dimenticare di mantenere viva la tua fede in Me, quella fede di chi sa che il suo Signore conosce profondamente, non solo il cuore dei suoi devoti, ma ogni cosa”.

L’indomani, il primo a recarsi al tempio, fu un uomo dall’aspetto molto ricercato, sicuramente un uomo ricco. Portava con sé una generosa donazione e, nelle sue parole, una sola preghiera rivolta a “Krishna”: di non perdere mai la sua ricchezza, di far prosperare sempre più i suoi affari. Rimase lì, in ginocchio, per pochi istanti e poi, con passo affrettato si recò verso l’uscita del tempio, senza accorgersi che il suo ben nutrito portafogli era caduto, proprio lì, vicino “Krishna”. Quest’ultimo avrebbe voluto corrergli dietro per… ma ricordò che non poteva e rimase fermo.

Entrò, in quell’istante, nel tempio, un uomo dall’aspetto misero e trasandato, era sicuramente un uomo molto povero. Portava con sé una sola moneta, ma la offrì con una tale devozione da rendere luminoso quel viso scarno e segnato dal tempo. Lì, in ginocchio, ad occhi chiusi, con semplici parole di preghiera disse che il servizio al Suo Signore, Krishna, non sarebbe mai cessato, perché questo era il suo più grande desiderio. Poi, mise nelle Sue mani la propria famiglia, quella famiglia così sventurata, che riusciva a mala pena a sopravvivere, con l’assoluta certezza che l’avrebbe aiutata.
Quando riaprì gli occhi la sua attenzione fu catturata da qualcosa lì, per terra…era il portafogli, caduto dalla tasca dell’uomo ricco.
Guardò “Krishna” e copiose lacrime di gratitudine segnarono il suo viso.
Ora poteva tornare dalla sua famiglia e condividere la meraviglia di quel miracolo! E così fece.
Di fronte a tutto ciò, il devoto con le sembianze di Krishna, fu tentato, ancora una volta, di intervenire, ma rimase fermo, in silenzio.

A quel punto, giunse un giovane uomo, dall’aria avventuriera, ma al contempo preoccupata.
Era un marinaio. Nella notte, lo attendeva, l’inizio di un lungo viaggio, che a detta di molti si prospettava azzardato nonché rischioso.
Pregò fiducioso “Krishna” affinché potesse proteggerlo da tutte le avversità.
Mentre così pregava giunse un agente della polizia locale affiancato dall’uomo ricco, che poco prima era stato nel tempio. Quest’ultimo, accecato dall’ira e dal sospetto, accusò il marinaio di furto e chiese all’agente di arrestarlo ritenendolo responsabile.

Per la terza volta, il devoto con le sembianze di Krishna, sentì dentro l’impulso a reagire, a dire che il marinaio era innocente, che non aveva commesso alcun reato…ma non poteva e, con un senso di frustrazione, tacque. Su di lui si posò lo sguardo smarrito e sconcertato del marinaio:
“Krishna, mio Signore, perché la colpa ricade proprio su di me che sono entrato in questo tempio al solo scopo di affidarmi a Te?!”.
Al contrario, lo sguardo dell’uomo benestante era pieno di soddisfazione e, nelle sue parole, un susseguirsi di ringraziamenti a “Krishna” per averlo aiutato a trovare il ladro.

La frustrazione, a quel punto, nel devoto che aveva preso il “posto” di Krishna, divenne insostenibile e, sicuro che Krishna stesso sarebbe intervenuto pur di salvare un innocente da un’ingiusta accusa, ruppe il silenzio e raccontò ciò che aveva visto: il portafogli dell’uomo ricco era stato raccolto da un pover’uomo e il marinaio non aveva nessuna colpa. Quest’ultimo, finalmente, si sentì sollevato, ringraziò e, quella stessa notte, si imbarcò per iniziare il lungo viaggio.
Il benestante, aiutato dalla Polizia, trovò l’uomo molto povero e, con questo il suo portafogli.

Giunse la notte, e dunque, per il devoto, la fine di quel lungo giorno; e Krishna apparve, chiedendogli come lo avesse vissuto.
“Mio Signore, ora so che i Tuoi giorni sono più faticosi di quanto pensassi. Credevo sarebbe stato più semplice, ma almeno ho fatto qualcosa di buono”.
E incominciò ad esporre quanto accaduto.
Il racconto del devoto non suscitò affatto l’approvazione di Krishna anzi… quest’ultimo con tono severo gli disse:
“Non hai fatto ciò che ti avevo chiesto…non hai avuto fede in Me.
Vuoi che non conosca profondamente i miei devoti!

Tutte le donazioni offerte dall’uomo ricco non sono altro che denaro rubato, denaro che rappresenta un’inezia rispetto a quanto possiede.

Al contrario, la moneta offerta dal pover’uomo era l’unica che aveva, e l’ha donata a Me, pieno di fede.

Se il marinaio fosse stato arrestato, pur essendo innocente, quella notte l’avrebbe trascorsa in una prigione e non in mare, dove, un implacabile naufragio, gli ha tolto la vita.
Il portafogli sarebbe rimasto nelle mani del pover’uomo e quel denaro lo avrebbe usato per servirMi, perché questo era il suo desiderio più grande.

Attraverso quanto accaduto stavo riducendo il karma dell’uomo ricco e avrei salvato anche la vita del marinaio, ma tu hai vanificato tutto, pensando di conoscere e realizzare i Miei piani, ma mettendo in atto i tuoi.”

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Ecco come le storie degli antichi saggi continuano ad essere così attuali.
Perfino la mente di un devoto, ancora imprigionata nell’apparente distinzione tra ‘giusto’ e ‘sbagliato’, non può comprendere l’Agire del Signore.

È oltre il capire…solo quando l’ ‘Io’ personale si dissolve la verità albeggia.

La vera devozione è arrendersi all’Infinito.
Allora non c’è più nulla da fare poiché sarà l’infinito stesso a farsi carico di ogni cosa così come sta facendo anche adesso.

Dove c’è traccia di ‘me’ c’è la presunzione di credere che siamo noi a ‘fare’.
Nell’abbandono tutto si azzera e l’Infinito può fluire liberamente nel corpo e nella mente.

Hari Om