Neeraja parla di Papaji
È un’impresa ardua cercare di comunicare a parole la matrice universale che è Papaji, il dispensatore di grazia.
Essere a diretto contatto con la sua presenza fermava la mente e la trasformava in infinita beatitudine. Per chiunque veniva a trovarlo, diventava istantaneamente un oggetto di adorazione che risplendeva di luce propria che si rivelava nella consapevolezza estatica.
Papaji è grazia in azione.
Libero da ogni identificazione, poteva assumere qualsiasi ruolo: maestro, padre, amico e sposo.
Amante fedelissimo della sua natura libera e beatifica, la rispettava continuamente in compagnia del silenzio.
Papaji ripeteva sempre un invito in inglese: “Be quiet”.
Con questa formula magica inondava di benedizioni il ricercatore, offrendogli il rimedio infallibile alla malattia del divenire.
Era la fine di ogni tentazione a procedere nell’illusione. Quel “Be quiet” era come un camaleonte che cambiava continuamente colore trasformandosi in mille significati: rimani in silenzio, sii, taci, fermati, stacca la spina, dissolviti, centrati, abbandonati, lascia andare, guarda, ascolta, apriti… e tanti altri ancora.
Era impossibile sfuggire a questa freccia che riduce l’illusorio “io” in cenere.
Non c’è più dove scappare, dove nascondersi.
Il “Be quiet”, lo “stai quieto” di Papaji è un ordine che va diritto al cuore. Il cuore non può che ubbidire, perché è la Luce della luce che lo ordina; e il cuore lo sa e si risveglia riconoscendosi in quell’oceano di Consapevolezza Infinita.
Un giorno mentre ero nella sua stanza e la mia mente correva veloce, Papaji mi disse improvvisamente: “Neeraja, spegni!”. Intendeva l’aria condizionata o la mia mente?
Il mio corpo si abbassò automaticamente verso la presa e automaticamente si rialzò, ma nel rialzarsi la mente era scomparsa. Sentivo l’eco di quel comando come una forza magnetica che trasportava la consapevolezza lontano, e tuttavia così vicino, in un luogo tranquillo e silenzioso come un immenso oceano.
Sprofondavo nel silenzio, e il senso di “me” si ritirò in quel mare di consapevolezza come il ritirarsi di un’onda. Non c’era più niente di esterno, né più dualità. Solo presenza consapevole e beata. Mi sentivo come se mi fossi risvegliata da un sogno, e quella sognatrice si scoprì essere assoluta essenza.
Per giorni interi non riuscii ad articolare un solo pensiero: Papaji mi aveva cacciato via dal mondo del pensato facendomi ritrovare nell’Infinito Ora.
I suoi occhi erano così vivi che lo sguardo che ne emanava era irresistibile, aveva un effetto letale. Quella forza che ne irradiava non parlava a me, ma alla forza all’interno di me che è la stessa in tutti noi, ciò che ci unisce tutti. E bastava uno sguardo per rimuovere ogni dubbio nel ricercatore sincero.
Papaji era come un re indifferente a tutto, e con i suoi sorrisi ci riempiva il cuore di nettare divino.
Portava le nostre menti nella pace e nell’amore, e fermava gli attimi in momenti eterni.
Ogni istante in sua presenza era come una festa in paradiso, gli angeli e Dio stesso erano presenti. Essere in sua compagnia ci faceva diventare bambini. Seduto sulla sua poltrona, il viso rilassato, tondo e dorato, gli occhi leggermente a mandorla che evocavano un’antica eco di maestro zen, le labbra grandi e la sua dolce voce che ipnotizzava il cuore. Come bambini eravamo catturati dalle sue storie… ogni parola risuonava come un koan dentro di noi.
Tornata dall’India subito dopo la cerimonia della cremazione di Papaji, il suo mahasamadhi, feci un sogno:
Papaji era sdraiato con gli occhi chiusi, era morto. Poi, lentamente, ha riaperto gli occhi, si è alzato ed era tanto
dolce con me. Mi ha abbracciato e mi ha guardato negli occhi. Io gli ho detto: “Papaji, ma allora chi era quello che abbiamo appena cremato?”. “Poonja”, rispose. Io ero felicissima che Papaji non fosse morto. C’erano altre persone, i miei amici, e li chiamai, Venivano riluttanti, erano tutti tristi perché Papaji era morto. Li chiamai per fargli vedere che Papaji non era morto, era vivo, e tutti ci prostrammo ai suoi piedi.
Poonja è morto, Papaji è vivo!!!
Ho avuto la sconfinata fortuna di incontrare Papaji, e ancor più di vivere nella sua casa e a fianco a fianco il suo quotidiano negli ultimi anni della sua meravigliosa forma terrena. Nella casa della luce imperava la presenza nella sua forma che era verità.
A chiunque veniva a rifugiarsi nel suo immenso cuore elargiva con abbondanza il dolce frutto della Grazia.
Quando si muoveva tra la gente, lo vedevo distribuire una polvere d’angelo dorata meravigliosa che risplendeva nei sorrisi estatici dei fortunati che la ricevevano.
Mostrandoci la fiamma immortale, ha dissipato ogni nostra idea. Ci ha condotti a sviluppare la discriminazione rivelandoci l’indifferenziato in mezzo alle differenze.
Che gioco divino la sua esistenza! Ci ha insegnato a non trattenere i pensieri “io sono il corpo” e “il corpo è mio”, e a scoprire che l’intero universo è una costruzione mentale. Solo il Sé è libero ed eterno.
Essere in compagnia di un maestro del calibro di Papaji, poter vivere in ogni istante la sua ordinarietà, semplicità, naturalezza, e infinita gioia ed amore, meraviglia e bellezza, il tutto impregnato da una costante e profonda pace…
Come esprimere l’immensa gratitudine che provo?
Mi auguro che questi suoi canti possano vivere in colui e colei che li accoglie nel cuore, e possano donare tutte le benedizioni.
Ubli sud India, anni 60
Papaji & Neeraja, Lucknow, 1991
Da sx a dx: Gopal, Papaji, Neeraja, David Godman ed altri
Hardware, anni 70
Incatenarti richiede fatica, essere libero non ha bisogno di sforzi.
Il pensiero nasconde e non rivelerà mai Quello. Perciò, non pensare.
Hardware, sulle sponde del gange, 1992
Lucknow, 1994
Lucknow, Papaji’s house, 1991
Nota Biografica
H.W.L. Poonjaji, familiarmente chiamato dai devoti Papaji, nacque nel Punjab (oggi in Pakistan), nel 1910. Suo padre Parmanand faceva il capostazione e sua madre Yamuna Devi era la sorella di uno dei più noti e venerati santi indiani: Swami Rama Tirtha. Sua madre era solita organizzare in casa delle riunioni per cantare il nome del Signore assieme alle donne del paese, e suo padre ripeteva costantemente il sacro mantra “Jai Sitaram”.
All’età di otto anni, Papaji ebbe un risveglio spirituale che lo trasformò da bambino umano in bambino divino. Da quel momento la sua vita fu guidata dalla luce che lui stesso emanava e che riversava nell’amore per Krishna, suo grande ed eterno compagno.
La sua devozione estatica era cosi intensa che gli permetteva di avere costanti visioni di Krishna e di giocare con lui, ma nei momenti in cui le visioni erano assenti il suo cuore languiva di nostalgia e ne cercava disperatamente il contatto.
La ricerca di Dio lo portò alla presenza del grande Sri Ramana Maharshi, il quale gli chiese: “Hai visto Krishna?”. Papaji rispose: “Sì, sì, l’ho visto!”, e Ramana continuò:
“E ora lo vedi ancora?”. Papaji rispose: “No, ora non lo vedo!”. Allora Ramana gli disse: “Ciò che va e viene non è reale. Cerca chi è il veggente”.
Queste parole furono la scintilla che accese il suo cuore facendolo risplendere in eterno della stessa luce che irradiava il suo amato Maestro. A quel momento seguirono anni di trasformazione in cui quella luce rischiarò ogni cosa con cui veniva in contatto. La sua ricerca era terminata. Da allora risplendette ogni giorno con più forza, inondando di benedizioni i fortunati che entravano in diretto contatto con lui.
Presto si formò un numeroso gruppo di devoti intorno alla sua grazia in azione.
Papaji era come una foglia caduta mossa dal vento: dentro immobile, e fuori si posava dove il vento della sua stessa grazia lo riteneva opportuno. Lasciò l’India e viaggiò per tutto il pianeta. Ovunque gruppi di devoti fremevano per essere accesi dal suo potente fuoco sacro. Insegnava favorendo l’esperienza diretta della realtà attraverso incontri personali con ogni ricercatore. La sua grazia agiva fermando la mente del ricercatore e trasformandola istantaneamente nella sua Reale Essenza Beatifica. I fortunati appartenevano a ogni razza, colore, religione, età e ceto sociale.
Ritornato in India passò molto tempo sulle rive del sacro Gange, a lui tanto caro.
Nel 1990 Papaji ritornò a Lucknow, una città del nord dell’India dove aveva vissuto durante la giovinezza, e vi rimase per sette anni fino al termine della sua esistenza terrena.
Centinaia di devoti da tutto il mondo partecipavano quotidianamente ai suo preziosi satsang.
Quando lasciò il corpo, nel settembre del 1997, il suo potere esplose ed è sentito in tutto il mondo ora più che mai.
Conservo nel mio diario queste parole che mi disse Papaji:
“La libertà è libertà dalle preoccupazioni. Avendo realizzato che non puoi influenzare i risultati, non dare importanza ai tuoi desideri e alle tue paure. Lasciali andare e venire. Non nutrirli con il tuo interesse e la tua attenzione”.
“I sogni sembrano essere senza inizio, ma in realtà accadono solo nell’adesso. Di momento in momento tu li rinnovi. Una volta capito che stai sognando, ti svegli. Ma non lo vedi, perché vuoi che il sogno continui. Verrà il giorno in cui bramerai la fine del sogno con tutto il tuo cuore e la tua mente, e sarai disposta a pagare qualsiasi prezzo. Il
prezzo sarà il distacco, la perdita di interesse per il sogno stesso”.
“Ciò che pensi di essere è falso. Tu non sei ciò che credi di essere. Logica o non logica, non puoi negare l’ovvio. Non sei nulla di ciò di cui sei cosciente. Applica con diligenza tutta te stessa a demolire la struttura che hai costruito nella tua mente. Ciò che la mente ha fatto, la mente deve disfarlo”.
“Quando dormi e sogni di essere a Roma, il tuo corpo non si muove da Lucknow, La stessa cosa accade nello stato di veglia: la tua mente crede di andare da qualche parte, ma di fatto tu sei sempre qui”.